La vita di ognuno di noi è scandita dal tempo, a tal punto che questo occupa nella nostra mente un posto di preminenza assoluta, anche se noi non ne abbiamo una totale percezione. Tutto è scandito dal tempo e tutto è inserito nel tempo, in maniera più o meno scandita e regolata. La nostra giornata tipo è determinata da innumerevoli abitudini, sempre uguali e che orientano i nostri comportamenti, a partire da quando ci alziamo la mattina ed attiviamo la nostra ruotine quotidiana, fino alla sera quando andiamo a coricarci. Non possiamo negare che l’uomo ha bisogno di crearsi delle abitudini ben scandite nel tempo. Questo non solo nella dimensione individuale, ma anche in quella collettiva. Tutte le nostre tradizioni e le feste hanno una calendarizzazione ben definita; spesso certe feste coincidono con l’inizio di una nuova stagione ed annesse ad esse anche delle abitudini di un’intera comunità. Ad esempio, ad Alcamo si suole trasferirsi presso la casa di villeggiatura dopo la festa della Patrona, che corrisponde col 21 giugno, ovvero l’inizio dell’estate. È molto curioso che buona parte della popolazione sia sintonizzata su questa dimensione spazio-temporale ben precisa. Anche il ritmo di vita della comunità alla quale apparteniamo influisce sulla nostra esperienza del tempo. Il tempo influenza il nostro modo di pensare e, al contrario, la nostra situazione emotiva influenza la nostra percezione del tempo. Einstein osserva: “se un uomo siede per un’ora accanto ad una bella ragazza, gli sembrerà un minuto. Ma fatelo sedere per un minuto su una stufa accesa, e non avrà mai vissuto un’ora più lunga!” La pressione temporale alla quale siamo sottoposti, può influenzare i nostri comportamenti? Emblematico è l’esperimento condotto nel lontano 1977 dagli psicologi sociali John Darley e Dan Batson su un gruppo di studenti di teologia dell’Università di Princeton. Agli studenti venne chiesto di preparare un sermone sul buon samaritano ed andare ad esporlo, uno alla volta, ai supervisori che si trovavano dall’altra parte del campus. Il gruppo di studenti venne suddiviso a loro insaputa in due sottogruppi: ad un sottogruppo venne detto che avevano tutto il tempo per preparare il sermone, all’altro sottogruppo invece, venne riferito che erano in ritardo e che i supervisori li attendevano già da qualche minuto. Nel tragitto che ciascun seminarista dovette percorrere per raggiungere i supervisori, un complice degli sperimentatori recitò la parte di una persona evidentemente bisognosa di aiuto, raggomitolata a terra, squassata dalla tosse. Ogni seminarista, quindi, incontrando l’uomo in difficoltà, dovette scegliere tra il prestare aiuto come fece il buon samaritano, oppure l’ignorare l’uomo ed affrettarsi ad andare ad esporre il sermone sull’importanza di essere un buon samaritano. Ebbene, nella maggior parte dei casi, gli studenti cui era stato fatto credere di avere tanto tempo a disposizione, prestarono aiuto all’uomo in difficoltà, mentre ben il 90% degli studenti che si credevano in ritardo ignorarono l’uomo in difficoltà! Siamo cattivi o stiamo andando di fretta? Basta una piccola manipolazione del tempo per farci agire da persona dabbene o per anteporre i nostri interessi personali al bisogno di aiuto di un altro. Imparando a dare “tempo al tempo”, potremmo giovare e godere di tanti aspetti di noi stessi, altrimenti falsati ed inevitabilmente influenzati dal tempo.
Articolo pubblicato dal dott. F. Settipani nella rivista Alqamah.it il 26/06/2016