Vi siete mai chiesti come mai, di fronte a talune vicissitudini della vita, alcuni ne escono indenni, anzi più forti, mentre altri incassano un duro colpo psicologico dal quale, talvolta, è anche difficile uscire fuori? Dove sta la differenza tra i primi ed i secondi? Certamente i primi hanno una migliore resistenza, mentre i secondi si “spezzano” più facilmente. La capacità di resistere agli urti psicologici viene definita col termine “resilienza”. Tale termine è stato mutuato dalla fisica, dove la resilienza indica la capacità di un materiale di reggere agli urti o alle sollecitazioni senza spezzarsi. A quanto pare, il termine resilienza risulta la traduzione italiana dell’inglese resilience, ma andando indietro nella ricerca etimologica, resilienza sembra avere a che fare col verbo latino resalio, che stava ad indicare l’atto dei navigatori di risalire dal mare sulla barca, allorquando questa si capovolgeva durante una tempesta, facendo cadere l’equipaggio in mare: chi risaliva riusciva a salvarsi, chi non riusciva nell’impresa di risalire in barca, andava inevitabilmente incontro al funesto destino. Il concetto di resilienza viene molto utilizzato in psicologia dello sport, dove gli atleti devono imparare a resistere alle sconfitte, al lungo e tortuoso percorso di crescita atletica, agonistica e personale che, nel lungo periodo, li porterà (probabilmente) ai massimi livelli. La resilienza è un concetto fondamentale per il benessere di ciascuno di noi, in quanto, essendo la vita piena di “messe alla prova”, soltanto se riusciamo a resistere possiamo proseguire nel nostro percorso di crescita personale. A questo punto, possiamo chiederci quali sono i fattori che rendono una persona davvero resiliente. Né la fortuna né il talento né componenti esterne all’individuo sembrano essere dei fattori determinanti rispetto alla capacità di resistere agli urti della vita. Piuttosto, la parola chiave è rappresentata dall’impegno. Infatti, chi decide di impegnarsi veramente, si assume fino in fondo la responsabilità di ciò che fa (responsabilità, dal latino respondeo: rispondo in prima persona delle mie azioni), senza sentirsi in colpa ovvero senza attribuire a causa esterne a sé le origini dei suoi fallimenti. Chi decide di impegnarsi, sa che dagli errori si impara senza restarne vittima, sa che le sconfitte rappresentano delle esperienze essenziali per la crescita personale, sa che il vero successo si raggiunge solo attraverso la passione ed il sacrificio. Forse, in un periodo socio-economico così oscuro come quello che stiamo attraversando attualmente, dovrebbero esserci delle vere e proprie scuole di resilienza, dove imparare a resistere ed irrobustirsi di fronte alle avversità della vita, piuttosto che restarne schiacciati. Ad ogni modo, possiamo cominciare ad esercitare il controllo sulla nostra vita, dandoci degli obiettivi che fanno suonare le corde delle nostre più profonde passioni, definendo delle strategie per il loro raggiungimento, imparando ad essere sempre più caparbi rispetto alla meta da raggiungere, senza cercare facilmente la scusa per giustificare i nostri insuccessi. Vorrei chiudere questo articolo citando una frase di Edgar Rice Burroughs: “un uomo può fallire molte volte, ma non diventa un fallito finché non comincia a dare la colpa a qualcun altro”.