Il presente articolo è frutto dell’ispirazione che Alqamah mi dà ogni giorno quando leggo i fatti quotidiani. Tra le notizie in prima pagina, circa il 50% riguardano fatti inerenti l’illegalità. Ad onor del vero, sono reduce della partecipazione come discente ad un convegno tenutosi a Calatafimi Segesta sabato 28 febbraio, dove il principale intervento è stato tenuto dal giornalista Pino Maniaci, su clamorose illegalità relativamente alla gestione di beni confiscati alla mafia. Orbene, oggi mi chiedo: “cosa può indurre una persona ad orientarsi verso l’illegalità piuttosto che verso la legalità?” E più precisamente: “cosa induce una persona che gusta il male dell’illegalità e del denaro facile a cercarne sempre di più?” Sulla prima domanda, ci sarebbe da scrivere dei veri e propri tomi: filosofi, giornalisti, religiosi, antropologi, psicologi, sociologi hanno studiato e detto la loro. Mi concentrerò sul secondo quesito: “perché a rubare sono sempre i soliti noti?” “Perché tendono a farlo sempre di più?” Evidentemente, nella mente di chi delinque, si crea una dipendenza patologica dalla sete di denaro e di potere, tale per cui, chi ne è affetto non ne può più fare a meno. Paragonerei la dipendenza di questi delinquenti a quella della dipendenza patologica dal gioco d’azzardo: il giocatore si abbandona ad un momento di sommo piacere, che può raggiungere il livello della sbornia o dell’estasi. Il denaro, il potere, diventano elementi che inviano un segnale al sistema nervoso che percepisce in essi un rinforzo positivo per la produzione delle sostanze chimiche dell’eccitazione e del piacere, come l’adrenalina, la dopamina o la serotonina. Assume allora un senso logico l’antico mantra del mafioso “cumannari è megghiu chi futtiri”, in cui è racchiuso questo piacere, esito di una produzione ormonale patologica che supererebbe il piacere di un orgasmo. Fare denaro a tutti i costi, governare a tutti i costi, diventano delle vere e proprie droghe e coloro che cadono in questa trappola finiscono per perdere il discernimento tra bene e male, non valutando quali danni possano arrecare a se stessi ed alla collettività. La situazione si aggrava quando a cercare queste droghe micidiali, del denaro e del potere, non è più il singolo, ma un gruppo, all’interno delle cui dinamiche intrinseche si verificano dei meccanismi di amplificazione di numerosi fattori mentali individuali. Attenzione, non pensiamo solo alle bande che assaltano le banche. I gruppi assetati di denaro e di potere possono essere gruppi politici, che perseguono prevalentemente tali scopi perversi, perdendo totalmente di vista quelli per cui dovrebbero esistere, ovvero fare gli interessi della collettività; oppure gruppi che godono di particolari privilegi, sempre perché dovrebbero utilizzarli per gli interessi della collettività e non per interessi personali. Di gruppi, di lobby e di individui che godono rubando e imponendo la loro prepotenza ne siamo così tanto circondati da rimanerne spesso vittime inconsapevoli. Per questo motivo l’informazione giornalistica, anch’essa spesso imbavagliata dai gruppi di potere, dovrebbe esercitare una funzione essenziale per la collettività onesta. “Il potere logora chi non ce l’ha”, famosa frase di Giulio Andreotti, nella mia presente chiave di lettura può interpretarsi nei termini patologici di chi non può fare a meno di un elemento non essenziale per l’esistenza, ma divenuto un cancro o la peggiore delle droghe e delle dipendenze, al punto tale che chi ha sposato questa affermazione così diabolica non si è più reso conto di quanto potessero essere i risvolti negativi nella società, forse proprio quelli di cui noi tutti italiani oggi siamo eredi.